Quando instauriamo una relazione entrano in gioco, il più delle volte a livello inconscio, tutte le ombre e le luci delle esperienze passate.
Questo gioco di luci e di ombre anima il teatro delle nostre dinamiche relazionali. Le luci sono rappresentate dalla parte sana della nostra affettività; le ombre sono la parte ferita del nostro stato bambino. Luci ed ombre svolgono entrambe una funzione positiva se orientate verso la «tendenza attualizzante» (C. Rogers), cioè la linea del divenire fedeli a se stessi e alla propria identità vocazionale. Tramite le luci si evidenziano le potenzialità affettive da mettere in azione, per costruire una equilibrata e sana relazione; tramite le ombre si coglie il senso della propria vulnerabilità e delle carenze ricevute: la notte dell’immaturità delinea l’alba della maturità affettiva verso cui incamminarsi. Non c’è nulla di sbagliato nell’essere affettivamente portatori di qualche insufficienza affettiva. Carenze, traumi o mistificazioni fanno parte del processo di apprendimento: non tutti i compiti in classe terminano con un otto! A volte si prende a stento la sufficienza e in certi casi si può arrivare ad un voto non classificabile.
Ciò che conta è di mettere al servizio della propria crescita sia l’esperienza dal contenuto positivo, sia quello negativo, per farne tesoro di saggezza e di orientamento verso l’attuazione del “miglior se stesso possibile”.
La vita ha bisogno di noi per quello che siamo e non per quello che dovremmo essere, secondo un modello di idealistica perfezione. E’ partendo dal dato di realtà che si può costruire una solida relazione; per quanto fragili possano essere i due pilastri su cui si costruisce il ponte dell’incontro amoroso, se si chiamano le cose per nome, non si crea confusione, illusione, manipolazione e mistificazione. Non c’è nulla di sbagliato in noi. Noi siamo creature perfettamente imperfette ed è accettando tale naturale imperfezione che la scultura dell’umana perfezione prende sempre più vivida e, al tempo stesso, compatta forma. Il dato di realtà è presente anche nelle ombre che fanno parte della nostra storia; se queste ombre non vengono prese in carico dalla parte sana, possono trasformarsi in mostri, vampiri o sanguisughe affettive.
La verità è che noi siamo sempre liberi di scegliere quale direzione dare agli eventi della nostra vita; a volte lo siamo in misura ridotta, perché succubi di movimenti interni che creano schemi di dipendenza, di cieca rabbia o di totale isolamento, ma è sempre presente in noi una parte sana ed è questo il fatto straordinario dell’esistenza umana. Come ha scritto Primo Levi:«La facoltà umana di scavarsi una nicchia, di secernere un guscio, di erigersi intorno una tenue barriera di difesa, anche in circostanze apparentemente disperate, è stupefacente, e meriterebbe uno studio più approfondito»[1]. Questa nicchia e questo guscio contengono la parte sana del nostro «vero sé».
Esiste in noi una forza spirituale che ci permette di compiere salti di prodigiosa bellezza verso l’amore per la vita, perché la vita, anche quando assomiglia ad una tempesta di lacrime, ad una polverosa soffitta di tristi ricordi o ad un viale di nudi alberi, è ciò per cui siamo stati creati e per cui vale sempre la pena versare lacrime, dipingere sorrisi e investire le nostre energie creative.
Il merito non sta nell’essere persone perfette, ma nel tendere verso una visione realistica di sé e dei propri vissuti; la virtù sta nel costruire, pazientemente, un’efficace integrazione delle diverse funzioni psichiche da mettere armonicamente in collegamento tra di loro, per raggiungere la meta di una sana interdipendenza. La fissazione affettiva è un movimento interno che genera una forte spinta centripeta[2]; tutte le energie dell’individuo sono volte a cercare di soddisfare dei bisogni egocentrici, in cui si richiede attenzione totale su di sé. La fissazione affettiva è un movimento captativo a direzione univoca, ovverosia di sola entrata. La persona afflitta da tale vissuto interiore è alla disperata ricerca di un «seno materno», di «braccia paterne», di “un’amicizia unica e intima”, di un “compagno di vita disponibile 24 ore su 24”. Chi sperimenta tale movimento (che ha diversi gradi di espressione, dal minimo al massimo livello), esige dall’altra persona una dedizione totale e sviluppa, nei confronti della stessa, una morbosa e malsana forma di “attaccamento affettivo”. In talune manifestazioni la fissazione affettiva può divenire un “comportamento ossessivo”, che rivela un desiderio di totale possessività nei confronti dell’altro. Spesso vi è un congelamento di tale movimento captativo ed è proprio per questo che quando avviene il risveglio del bisogno affettivo è come se si assistesse al fenomeno di un’eruzione vulcanica. Tale improvviso eruttamento è talmente violento che non sa riconoscere, almeno nella sua fase iniziale, il limite dell’altro e l’impossibilità a soddisfare in toto la famelica urgenza delle proprie richieste di nutrimento affettivo.
[1] Tratto da “Se questo è un uomo”, Editore Einaudi.
[2] La forza centripeta è quella che tende verso il centro. La fissazione affettiva accentra le forze emotive, affettive e mentali dell’individuo nella direzione dell’ego ferito, come se vi fosse l’occhio di un ciclone che fa girare tutto attorno al proprio centro gravitazionale.